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Anno IV N. 2 - Marzo/Aprile 2004


Attualità
La dichiarazione croata della zona esclusiva di protezione ecologica e di pesca - Linea unica di delimitazione e diritto internazionale
Giuseppe Cataldi

Con l'articolo del prof. Giuseppe Cataldi (*) riprendiamo e concludiamo la riflessione sulla questione della ZEE in Adriatico iniziata sul numero precedente di Assopescalnforma con l'articolo "Gli accordi possibili". Mentre andiamo in stampa, apprendiamo che la Croazia intende rivedere la posizione assunta.

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Volendo tratteggiare l'evoluzione dei principi generali sulla delimitazione di una zona protetta o di una Zona Esclusiva di protezione Ecologica e di pesca (ZEE), occorre partire dalla regola dell'equidistanza, prevista dalla Convenzione di Ginevra del 1958 sulla Piattaforma Continentale (PC) come criterio applicabile in mancanza di diversa pattuizione tra gli Stati, e prevista altresì dalla maggior parte degli accordi di delimitazione conclusi in quel periodo, chiaramente condizionati da questa previsione.
La sentenza del 1969 della Corte Internazionale di Giustizia (CIG) sulla delimitazione della PC del Mare del Nord escluse invece l'obbligatorietà, nel diritto internazionale generale, dell'applicazione del criterio dell'equidistanza, affermando la praticabilità, con pari dignità, di altri possibili metodi soprattutto in presenza di circostanze speciali o rilevanti.
Nel 1982 la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (CNUDM) recepì questa prassi e venne introdotto, nell'art. 84, il concetto di "equa soluzione", con l'abbandono del modello "equidistanza-circostanze speciali". Nel frattempo si affermava nel diritto consuetudinario il nuovo istituto della ZEE, anch'esso recepito e disciplinato nella CNUDM. La delimitazione è oggetto dell'art. 73, norma distinta ma di contenuto identico all'art. 84. La CNUDM non contiene, pertanto, norme sostanziali sulla delimitazione marittima tra Stati contigui o frontisti ma prevede, viceversa, solo obblighi procedurali. Un ruolo creativo, e decisivo, in materia è stato assunto dalla giurisprudenza internazionale.
Prima che la CNUDM entrasse in vigore, e quindi ancora nel regime convenzionale proprio della codificazione del 1958, la sentenza relativa alla delimitazione nel Golfo del Maine tra USA e Canada resa nel 1984 dalla CIG chiarì quali fossero i principi generali formatisi in materia sulla base della prassi, asserendo quindi la conformità al diritto consuetudinario del criterio della "equa soluzione" previsto dalla CNUDM. La giurisprudenza successiva ha sostanzialmente ribadito queste conclusioni.
L'entrata in vigore della CNUDM ha confermato che nel Diritto internazionale generale non esiste un criterio dominante e obbligatorio per la delimitazione di PC e ZEE. Non c'è, in particolare, l'obbligo di ricorrere al criterio dell'equidistanza come criterio di partenza, non c'è obbligo di tracciare una linea unica per delimitare istituti diversi.
Provo a formulare con estrema sintesi i principi generali affermatisi, facendo riferimento in particolare alle regole utili al discorso che mi appresto a fare sulla linea unica di delimitazione:

a) ogni criterio da utilizzare è funzionale all'equa soluzione, obiettivo di ogni delimitazione;

b) ogni delimitazione è un unicum, nel senso che essa è strettamente collegata alle circostanze del caso, dando luogo ad una soluzione pressoche irripetibile alle divergenti pretese degli Stati frontisti o adiacenti e quindi come tale non suscettibile di automatica applicazione in altro contesto (affermazione ribadita dalla CIG nel caso Jan Mayen, 1993);

c) ogni accordo di delimitazione soggiace al principio di stabilità; è legge fra le parti come ogni altro accordo, sfugge all'applicazione della clausola rebus sic stantibus, è inefficace nei confronti dei terzi (CIG: sentenza Libia-Malta e sentenza Qatar Bahrein del 2001, in cui si chiarisce che la delimitazione non può avere luogo nella parte in cui essa investa spazi marittimi di Stati estranei al processo);

d) la prassi precedentemente adottata in materia dagli Stati in controversia ha un valore relativo. Nel caso Jan Mayen, in particolare, la CIG ha affermato che da un atto normativo interno con il quale uno Stato (la Norvegia, nella specie) ha applicato il criterio della linea mediana non può desumersi l'acquiescenza a tale criterio, tale da presumere il riconoscimento tacito della necessità di applicazione di tale criterio in altri contesti, e che soprattutto non ha alcun rilievo la condotta precedente dello Stato in regioni, tratti di costa (e a maggior ragione, aggiungo io, interessi) diversi.

La stessa conclusione vale per gli accordi precedentemente conclusi tra le parti e relativi a spazi marini differenti (o ad interessi differenti, ed a maggior ragione). La CIG, sempre nella sentenza Jan Mayen (par. 27), ha affermato l'impossibilità di attribuire all'accordo del 1965 un valore espansivo per il futuro: «La Corte ritiene che oggetto e finalità dell'accordo del 1965 erano semplicemente di regolare la questione della delimitazione nello Skagerrak e in una parte del Mare del Nord, zona dove il fondo del mare (ad eccezione della fossa norvegese) è interamente costituito da una piattaforma continentale di profondità inferiore a 200 metri, e che nulla porta a ritenere che le Parti abbiano intravisto l'eventualità che un giorno potesse essere necessaria una delimitazione della piattaforma tra la Groenlandia e Jean Mayen 0 si potesse intendere il loro accordo applicabile a una tale delimitazione». Per quanto riguarda in particolare la possibilità di delimitare con una linea unica spazi marini differenti (mare territoriale, PC, ZEE) mediante accordo, è certo che si tratta di un'opzione molto utile ed opportuna, laddove possibile. Anch'essa, come tutte le ipotesi di delimitazione, resta sottoposta al principio generale della «equa soluzione».

Una linea di delimitazione resta altresì collegata logicamente al tempo della sua fissazione. In altre parole, proprio perche ogni delimitazione è un unicum, una linea è il risultato delle circostanze che ad essa hanno condotto e che mutano nel tempo. Occasio Rerum gerendarum ministra (non si possono separare le leggi dalle circostanze che le generano), e infatti nella sentenza arbitrale tra Guinea Bissau e Senegal del 31 luglio 1989 fu affermato che la linea di delimitazione tracciata con l'accordo del 1969 sulla PC non poteva essere applicata alla ZEE, e cioè ad una zona marittima che non esisteva ancora all'epoca della conclusione dell'accordo. Non è quindi ipotizzabile che la delimitazione di una sola delle zone possa essere estesa automaticamente anche all'altra zona marittima senza un'ulteriore negoziato. La fissazione della linea di delimitazione unica deve essere contestuale per gli spazi da delimitare. La prassi degli accordi relativi al Mediterraneo, a ragione delle caratteristiche di questo Mare, insegna poi che difficilmente una delimitazione effettuata in via bilaterale sfugge alle contestazioni degli Stati terzi, sempre, di necessità, molto vicini alla zona delimitata. Le frontiere marittime risultano quindi particolarmente fragili. A ciò si aggiungano le difficoltà tecniche dovute alla presenza di isole e isolotti, e alla conformazione delle coste, quasi sempre molto frastagliate. Non è un caso che, per i mari chiusi o semichiusi, la Convenzione di Montego Bay preveda, all'art. 123, una stretta cooperazione tra gli Stati costieri.

Per quanto riguarda gli interessi relativi allo sfruttamento delle risorse biologiche, la situazione attuale è forse anche più complessa. Non è in vigore alcun accordo tra gli Stati del Mediterraneo che regolamenti o delimiti le zone rispettive di pesca.

Tutti i trattati bilaterali in vigore sui confini marittimi (due dei quali applicano sentenze rese dalla CIG), sono relativi al mare territoriale e/o alla PC. È difficile dare un'indicazione precisa in ordine al numero di questi trattati, perche ci sono dei casi (esempio ne è il modus vivendi tra Italia e Malta del 1970, o l'accordo provvisorio del 2002 tra Algeria e Tunisia) in cui la soluzione «provvisoria» raggiunta è talvolta considerata non pienamente produttiva di effetti giuridici vincolanti. A seconda quindi dell'opinione che si ha di questi casi dubbi, il numero oscilla tra i dodici ed i quattordici. È il caso di rinegoziare tali accordi per cercare di dare una sistemazione definitiva ai problemi di giurisdizione nel Mediterraneo e quindi tener conto degli sviluppi della prassi successiva al tempo della loro conclusione? È possibile, a tal fine, tracciare linee uniche di delimitazione per spazi marini differenti, magari utilizzando le linee degli accordi in vigore?

lo credo, innanzitutto, che, per le ragioni appena prospettate, una serie di accordi bilaterali non sia la soluzione migliore, occorrendo invece cercare di coinvolgere nella delimitazione tutti gli Stati dell'area in questione. È quanto d'altra parte, espressamente affermato dalla CIG nella sentenza del 1985 tra Libia e Malta a proposito della zona del Mediterraneo centrale, conformemente all'art. 123 della CMB.

Per quanto riguarda comunque gli accordi in vigore, e per le possibilità di utilizzazione della linea di delimitazione in essi tracciata, valgono in generale le considerazioni poco sopra fatte sulla base della giurisprudenza internazionale.

È il caso comunque di chiedersi se però la linea unica sia la risposta mig1iore ai crescenti problemi ed interessi rilevanti nel Mediterraneo. Non dimentichiamo che, accanto alle questioni di gestione degli interessi economici e degli interessi di natura ambientale si pongono con urgenza questioni quali la prevenzione e repressione dell'immigrazione clandestina e del traffico di esseri umani, la tutela della sicurezza della vita umana in mare, il traffico di stupefacenti, il terrorismo internazionale. Ancora, più di recente, la Convenzione UNESCO sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo prevede la cooperazione a livello regionale. Potrebbe sorgere presto pertanto l'esigenza di nuovi ambiti di giurisdizione da delimitare (ad esempio la zona contigua), con il conseguente aumento degli impegni di delimitazione che renderebbe vano lo sforzo di unificare la delimitazione della zona di pesca e della PC.

Anche in assenza di questi nuovi problemi, peraltro, più linee sono state tracciate in accordi aventi ad oggetto la pesca e la piattaforma continentale. È il caso dell'Accordo del 1978 tra Australia e Papua Nuova Guinea sullo Stretto di Torres, che prevede una linea per la zona di pesca, un'altra, distinta, per la delimitazione della PC ed, infine, l'istituzione di una zona protetta comune debitamente delimitata.

Pertanto, considerate le difficoltà della delimitazione nel Mediterraneo, la questione dei conflitti di giurisdizione in questo mare potrebbe essere affrontata partendo da una prospettiva alternativa alla delimitazione delle zone, riprendendo anche le proposte formulate in occasione delle iniziative comunitarie finalizzate a stabilire un regime giuridico nel Mediterraneo comune a tutti gli Stati impegnati nella pesca nel Mediterraneo. Anche se la possibilità di realizzare nel Mediterraneo una politica comune della pesca sembra piuttosto complicata nello spirito del Protocollo di Barcellona, si potrebbe pensare a forme di cooperazione tra Stati mediterranei in materia di gestione della pesca, finalizzate alla conservazione delle risorse e alla eliminazione delle zone di alto mare.

(*) Ordinario di Diritto internazionale Università degli Studi di Napoli "L'Orientale"


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