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15/01/2004 - VERBALE DI INCONTRO SULLA PROBLEMATICA RIVENIENTE DALL’APPLICAZIONE DEL REG. (CEE) 1626/94

In data 12 c.m. presso la Direzione Marittima di Bari, a richiesta del Comitato di Coordinamento delle Marinerie Pugliesi, composta da Federpesca, Federcoopesca, Lega Pesca, AGCI Pesca, UNCI Pesca e le OO.SS. dei lavoratori Flai CGIL e UILA – UIL, si è tenuta una riunione finalizzata all’approfondimento delle problematiche conseguenti all’applicazione del Reg. (CEE) 1626/94 che istituisce le misure tecniche per la conservazione delle risorse della pesca nel Mediterraneo.

Al suddetto incontro hanno partecipato anche i funzionari del settore Pesca – Regione Puglia e il Direttore dell’Istituto Provinciale di Biologia Marina di Bari.

Nel corso della succitata riunione è stato evidenziato da parte dei rappresentanti delle marinerie e dal Direttore dell’Ist. di Biologia Marina l’impatto fortemente negativo delle misure tecniche introdotte con il regolamento comunitario in parola, in considerazione della complessa ed articolata realtà operativa e gestionale dell’attività di pesca nonchè delle caratteristiche biologico-ambientali della “specificità” mediterranea.

Le Organizzazioni di categoria hanno evidenziato altresì che sin dall’entrata in vigore della citata norma comunitaria,  innovativa per quanto attiene le misure tecniche (taglie minime e caratteristiche degli attrezzi di pesca) rispetto alla previgente normativa nazionale, peraltro tuttora applicabile nelle parti non confliggenti con il predetto regolamento, l’intera marineria nazionale aveva proclamato lo stato di agitazione con preoccupanti tensioni su tutto il territorio nazionale.

In particolare, si fa ancora oggi rilevare l’incongruenza della normativa in parola, atteso che come dimostrato da campagne sperimentali di pesca, promosse dallo stesso Ministero, con le misure delle maglie delle reti, ammesse dalla citata normativa, il pescato è costituito in parte, comunque significativa, da esemplari di taglie minime inferiori a quelle prescritte.

Le parti sociali partecipanti alla riunione facevano, inoltre, rilevare che un rigetto in mare delle catture accidentali comporterebbe un gravissimo danno economico e ambientale, senza peraltro produrre nessun vantaggio sul piano della salvaguardia delle risorse.

Le organizzazioni, infine, hanno confidato nella sensibilità degli organi preposti al controllo, affinché, riconoscendo la complessità della problematica, venissero poste in essere tutte le iniziative finalizzate a individuare le soluzioni possibili, e che nel rispetto nella norma non penalizzassero oltremodo l’attività di impresa del settore.

L’Autorità Marittima, comprendendo la fondatezza delle ragioni esposte dalle Parti sociali, confortate dal parere della ricerca scientifica, si è riservata di approfondire la questione, preannunziando altresì la volontà di convocare, in tempi brevi, una Commissione Consultiva congiunta dei Compartimenti Marittimi della Regione, finalizzata a proseguire in sede Istituzionale l’esame della problematica che costituisce, notoriamente, la precipua finalità del Regolamento.

Le parti sociali partecipanti al citato incontro, hanno infine fatto rilevare che il Ministro pro-tempore con circolare n. 60147 del 8/2/95, precisava acutamente che le disposizioni nazionali contenute nella L. 963/65, in quanto non incompatibili e confliggenti con il regime introdotto dal citato Reg. (CEE) 1626/94 continuavano a trovare piena applicazione. In particolare riteneva applicabile le disposizioni di cui al titolo III del D.P.R. 1639/68 (Regolamento di esecuzione della L. 963/65) in base alle quali veniva riconosciuto al pescatore la possibilità di immettere sul mercato pesci di dimensioni inferiori al minimo consentito, accidentalmente catturati, nella misura non superiore al 10%. Tale possibilità è, a parere delle parti sociali, frutto della consapevolezza da parte del legislatore che l’utilizzo delle reti regolamentari comporta comunque la cattura accidentale di pesci inferiori alle taglie minime consentite.

Veniva, infine, evidenziato che qualunque altra disposizione che non riconoscesse la specificità mediterranea, comporterebbe una oggettiva impossibilità di esercizio legittimo dell’attività di pesca.

 

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